Il negozio è piccolo, l’ingresso, un retrobottega, la scaletta a chiocciola, il soppalco dove riceve i clienti.
Carlo si è laureato da qualche anno, dopo un periodo di gavetta ha coronato un sogno cullato già dagli anni della Bocconi, aprire un’impresa. I problemi non mancano, gli alimenti alla ex moglie, per fortuna hanno un solo figlio, il part time della Caterina, l’affitto del buchetto in cui è andato a vivere, quello del negozio gli costa un occhio della testa.
Si è dato un obiettivo a medio termine, portare a tempo pieno la Caterina, assumere almeno un paio di collaboratori giovani, che facciano il grosso delle visite, aiutandolo ad ampliare il raggio d’azione dell’attività.
La città è piena zeppa di case da vendere e comprare, basta saperci fare.
Il pomeriggio in cui hanno inizio i suoi guai è seduto alla scrivania, sta facendo i conti per un cliente che al mattino ha portato a visitare un bilocale nella zona di Lambrate.
Sta valutando, soppesando le possibili evoluzioni della trattativa, l’appartamento è piaciuto. Dopo la visita, il cliente non ha nascosto il suo interesse, il suo buget non è lontano dalla richiesta. Sta pensando se convincere il proprietario ad abbassare il prezzo, trecentodiecimila euro non sono pochi, a due e novanta, due e novantacinque, l’affare andrebbe in porto.
Squilla il campanello.
C’è il Sig. Vicari, Dottore!
La Caterina ha una voce decisa, squillante, lui si alza, si porta alla scala ad aspettare il cliente, conosce il Sig. Vicari, è sicuro che, prima di salire, adocchia la Caterina, le sue discrete forme.
Il Sig. Vicari è uno dei suoi clienti più importanti, il negozio è suo, con lui ha dovuto accordarsi per l’affitto, cinquanta dichiarato al fisco, risparmiano entrambi.
- Buongiorno! Si accomodi!
- Buongiorno!
Dopo i quattro gradini il Sig. Vicari sbuffa, soffia, piega le labbra, si accascia sulla poltroncina di fronte alla scrivania. Carlo lo guarda, lui quell’uomo lo assiste da anni, da anni nelle sue compravendite di case, di appartamenti, è stato anche su suo suggerimento che si è deciso a mettersi in proprio. A vederlo lo si direbbe uno qualunque, da come gira vestito sembrerebbe un poveraccio, uno che tira a campare a malapena. Niente di più sbagliato, quel tipo che ha di fronte è pieno di soldi, soldi e case, soldi dagli affitti, è questo il suo lavoro, la sua unica ragione di vita. Possiede decine di appartamenti che affitta, lui vive solo con la moglie, figli non ne hanno mai voluti, in un bilocale anonimo al primo piano di uno scialbo stabile dell’Ortica per metà di sua proprietà, per pagare meno le spese dell’ascensore.
- Come va? Tutto bene?
- Sì! Tutto bene, non fosse altro per il fatto che non ho dormito tutta la notte.
- Come mai? Non è stato bene?
- No, no, non è questione di salute, ma di soldi, sono preoccupato! Ho passato tutta la sera con mia moglie a fare calcoli, congetture, temo che prima o poi la bestia mi possa raggiungere.
- Riguardo alle case, abbiamo tutto sotto controllo, da come abbiamo fatto le denunce, lì non possono arrivare.
- Ho paura che arrivino ai contanti, lei sa che io non mi sono mai fidato di tutte quelle cartacce, delle azioni, delle obbligazioni e via dicendo, non ho mai voluto saperne, solo il mattone è stata sempre la mia religione.
- Ma no! Questo non è possibile! Al contante non arrivano.
- Chi lo dice? È gente che non ha pietà per le persone perbene come me, gente che usa la rete, con quella sanno, fanno tutto, non si può nascondere più nulla.
Si ferma, prende fiato.
A giudicare dall’aspetto, viso grigio, livido, occhiaie fino alle orecchie, capelli scompigliati, ispidi, si intuisce che la preoccupazione, l’angoscia per il futuro, deve aver tenuto sveglio tutta la notte il povero Sig. Vicari.
- Caro Carlo, mi devi trovare un bell’appartamento, devo investire quei quattro spiccioli che ho risparmiato, prima che il governo me li possa rubare.
Non è la prima volta che Carlo assiste ai suoi sfoghi, la manfrina è sempre la stessa, accumula e compra. I dettagli, le ipotesi, i suggerimenti, il solito sconto che lui vuole per ogni trattativa, la discussione vanno avanti ben oltre l’ora.
- Ah mi stavo dimenticando!
Il Sig. Vicari si alza , sembra aver intenzione di andarsene, come Carlo si auspica da tempo, invece si ferma.
- Non hai visto anche tu quello qui sotto, quello sdraiato nell’atrio del portone, quello con tante puzzolenti coperte, che dorme sempre, giorno e notte, mentre io le passo a far di conto e devo impasticcarmi per chiudere almeno un occhio per poche ore a notte.
- Sì! È qualche giorno che si è messo lì, si ripara dal freddo, è un poveraccio, non dà fastidio a nessuno.
- Dà fastidio a me! Ne va del decoro dello stabile, devi mandarlo via, questi che dormono tutto il giorno sono abilissimi a trovare l’alloggio, loro non hanno problemi, sanno sempre dove andare, mandalo via, se non se ne va con le buone, usa le cattive, chiama i vigili.
Carlo li conosce bene quelli che dormono per strada, con il suo lavoro gira tutta la città, li vede tutti i giorni, li conosce, oramai li cerca con gli occhi là dove sa che si possono trovare.
Negli atrii aperti degli stabili dove non c’è il portinaio che li caccia, sotto le tettoie delle pensiline che coprono l’entrata ai garage sotterranei, negli angusti spazi di vetrine secondarie, chiuse, sotto portici, gallerie, sopra le panchine dei parchi, comodamente seduti tutto il santo giorno sui mezzi pubblici, avanti e indietro da un capo all’altro della città.
Alfonso è uno di loro, di solito staziona nei dintorni dell’università.
È attrezzato, un carrello preso in prestito da qualche supermercato che usa come supporto per il trasporto dei suoi non pochi beni.
Da qualche giorno si è piazzato lì vicino, Carlo lo vede tutti i giorni, certe mattine, mentre gli passa davanti, osservandolo comodamente sdraiato nel suo giaciglio, gli ha pure allungato qualche monetina.
Alfonso non muove mai neanche un dito, solo alza di poco la testa, muove la bocca, sembra non dire nulla, almeno Carlo non afferra nulla, del resto non si aspetta nulla.
Non sa come fare, come dirgli di andare via, gli dà fastidio, non sa, gli avesse chiesto di mandar via uno dei suoi inquilini, ma quel poveraccio!
Per l’età potrebbe essere suo padre, quello che ha lasciato al paese, che va a trovare a Natale, per le vacanze.
È vero, anche a lui dà fastidio, così conciato deturpa l’ambiente, Carlo, in situazioni delicate, quando non sa cosa fare, prende tempo, gli vien voglia di incaricare la Caterina, non è giusto, è compito suo. Del resto il Sig. Vicari è stato chiaro, non può pensare di ignorare le sue richieste, non può permetterselo, potrebbe dirlo al Bestetti del negozio affianco…
È mattino presto, gli avevano detto che sarebbero arrivati presto, prima che la gente si alzi per andare a lavorare, prima che si aprano i negozi, è uno sfratto in piena regola, occupazione illegale, abusiva di suolo pubblico.
Un mezzo esercito in divisa d’ordinanza ha attorniato quel dormiglione, perdigiorno, con modi persuasivi gli ha ingiunto di alzarsi, già questo per lui, abituato a far tardi, è stato un mezzo trauma.
Alfonso però è un vero signore, non prova nemmeno a manifestare dissenso, resistenza, nulla, sa che non serve, si muove solo un po’ lentamente, modi compassati, distaccati, come suo uso e costume.
Sveglia il bastardino che dormiva pure lui sotto la coperta. Il tapino si guarda attorno, è stupito di quanta gente lo sta osservando, Alfonso gli fa una carezza, lo rassicura, non è successo nulla, lo tranquillizza, sa benissimo che non gli verrebbe mai in mente di abbaiare. Raccatta poi la sua preziosa roba, le sue cianfrusaglie, per un attimo, solo un attimo, si ferma, ha un mezzo sorriso sdentato, fa girare lo sguardo su tutte quelle divise, casomai abbiano un qualche ravvedimento.
Non accade, è impossibile, quelli in divisa non possono avere la libertà di un ripensamento, non sono loro che pensano, devono solo eseguire gli ordini, devono onorare la divisa, devono dar conto a quelli che li hanno mandati, quelli che la divisa non c’è l’hanno.
Anche Carlo non porta la divisa.
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